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Dentro e fuori: raccontare un film con i titoli di testa

26-04-2023

Le funzioni svolte dai titoli di testa in un film sono molteplici e ambigue.

Luogo rituale che ci si aspetta di ritrovare ad ogni visione, sospeso tra il dentro e il fuori. Quello dei titoli di testa è lo spazio della transizione, una zona indecisa, liminare, di passaggio dall’esterno all’interno, dal reale al finzionale. Ma sarebbe troppo semplice liquidarlo così.

Le funzioni svolte dai titoli di testa nei film sono di fatto molteplici e ambigue. Innanzitutto, rappresentano un momento di ripiegamento del film su se stesso, di un discorso metacinematografico (il film ci parla di sé in quanto film). In altre parole, i titoli evidenziano la presenza di un processo di produzione, ci dicono “questo è un film”.

Ma, al contempo, promuovono l’entrata dello spettatore nella finzione, anticipando e introducendo il racconto. Seminano indizi, suggeriscono un’atmosfera, evocano un tema, alludono ad un genere.

Svolgono dunque un discorso contraddittorio: mentre avviano la finzione la smascherano, rivelando che il film è un oggetto fabbricato.

Forse proprio per risolvere questo conflitto, i titoli hanno cercato in tutti i modi di sussurrare a bassa voce ciò che sono chiamati a dire. Attraverso tutta una serie di procedure che rende la loro apparizione il più possibile naturale, mascherando il loro carattere artificioso e marcato: il loro slittamento in zone più interne del testo, la presenza forte di un elemento musicale, l’animazione, la compresenza di scritte su immagini fisse o in movimento.

Impossibile fare un discorso unitario che inquadri nella sua interezza la storia

In linea generale, un film può iniziare in tre modi diversi.

Può cominciare con svariati minuti di titoli di testa, dopodiché inizia la storia (tipico del cinema classico).

I titoli possono scorrere su immagini e azioni (tipico del cinema moderno).

I titoli arrivano dopo, seguono una sequenza pre-titoli (un teaser, un prologo).

Parte integrante del racconto, anche i titoli sono pieni di ricorrenze ed eccezioni. Lasciamo ad alcuni esempi il compito di mettere in risalto la complessità dei titoli di testa.

Titoli parlati

Più che una ricorrenza, un’eccezione, la più clamorosa a proposito di titoli di testa. Forse in nome della vocazione audiovisiva del cinema, alcuni registi hanno scelto di far leggere o recitare i nomi e i ruoli di interpreti e collaboratori, producendo un effetto un po’ straniante ma non senza significati. Il desiderio è di innovare, rompendo con la tradizione e decostruendola programmaticamente.

Caso emblematico "Il disprezzo" ("Le mépris", 1963) di Jean-Luc Godard, che sceglie di farli leggere da una voce che accompagna le immagini di una troupe impegnata in una ripresa. La voce ricrea così l’atmosfera del set, quando si annuncia un ciak o si chiama un tecnico.

Titoli-album di famiglia

Sin dai primi anni Trenta si afferma la consuetudine di associare l’immagine dell’attore al suo nome e a quello del personaggio che interpreta. Già presente nel cinema muto, la presentazione degli interpreti in una sequenza autonoma tenderà a prolungarsi nei primi anni del sonoro, insieme alla pratica - ancora oggi molto diffusa - di fare qualcosa di simile nei titoli di coda. In questo senso, la passerella iniziale, o finale, degli attori protagonisti si può paragonare ad un album di famiglia, definizione che non sempre è così metaforica.

Succede in "Invito a cena con delitto" ("Murder by Death", 1976) di Robert Moore. Su schermo ancora nero, una mano celata da un guanto ci introduce nel quadro per aprire un vecchio baule. Quello che emerge è una sorta di scenario illustrato in tre dimensioni: una casa dall’aria lugubre sullo sfondo e una serie di figure allineate di fronte. "In diabolical order", come specificato da una scritta sovrimpressa sullo schermo, la macchina da presa avanza fino ad inquadrare ogni figura. Su ogni primo piano (i cui occhi si muovono dispettosamente da una parte all’altra) compaiono i nomi degli attori.

Titoli da applauso

Vere e proprie opere d’arte in miniatura, alcune sequenze di titoli si sono meritate da sole uno scrosciare di applausi. Il più grande titolista della storia è stato Saul Bass, il primo a sapersi inventare uno stile personale, ma la storia del cinema è costellata di grandi firme del settore. Se Maurice Binder è stato il padre delle sequenze di titoli dei film di 007, a Pablo Ferro si devono, tra gli altri, i titoli di testa del "Dottor Stranamore" (Stanley Kubrick, 1964). Ma anche oggi è un fiorire di titolisti, tra i quali spiccano: Randal Balsmeyer (collaboratore abituale di Spike Lee e dei fratelli Coen) e Kyle Kooper, title designer che ha già collaborato a più di cento titoli e con registi del calibro di Martin Scorsese, Robert Redford, Brian De Palma, Oliver Stone, Sam Raimi.

Vertigo

Tanti dunque gli esempi, ma vale la pena ricordare la sequenza titoli, opera di Saul Bass de "La donna che visse due volte" ("Vertigo", 1958): frammenti di un viso, occhi che si muovono ansiosi, quindi un unico occhio che riempie tutto lo schermo. Dall’iride si originano forme astratte circolari e a spirale. Certo, in via metaforica ed evocativa, ma i temi del film ci sono tutti, compresi il tono e l’atmosfera. Caduta, disorientamento, squilibrio, vertigine. Già nei titoli.

Titoli animati

L’animazione entra nei titoli di testa per restare. Naturalmente, essa può essere oggetto di differenti gradi di elaborazione. Possiamo avere sequenze animate di titoli che prediligono un approccio minimalista, mettendo in gioco pochi ed astratti elementi. O, al contrario, sequenze elaborate che mettono in scena un universo, animato dalla presenza di personaggi, ambienti e in alcuni casi intrecci narrativi. Come avviene nei titoli di testa de "La pantera rosa" ("The Pink Panter", 1963) di Blake Edwards, realizzati da un altro title designer divenuto famoso per l’originalità dei suoi lavori: Richard William.

Caso eccezionale di disegno animato divenuto poi famoso autonomamente ma inizialmente concepito per arricchire una sequenza di titoli. L’adorabile Pantera interagisce in essi con i caratteri intralciando il normale succedersi dei titoli di testa. Un travolgente ed immediato successo di pubblico, a cui si deve la notorietà dello smilzo e furbo personaggio, presto titolare di una serie di cartoni animati a lui dedicati.

Titoli imprevedibili

I titoli di testa si sovrappongono alle immagini del film, si inseriscono dentro il testo, continuano ad apparire anche molti minuti dopo l’inizio. A volte aspettano che il film si manifesti attraverso un antefatto o un prologo. Altre volte arrivano in ritardo per allentare la tensione, o appaiono sporadicamente, e a lungo, trattenendo lo spettatore sulla soglia del testo. Titubanti nell’apparire o nell’andarsene, i titoli ritardano il vero e proprio inizio del film.

The Snatch - Lo strappo

Mi chiamo Turco, buffo nome per un inglese, lo so. I miei genitori erano su un aereo che è caduto, e così si sono incontrati, e mi hanno dato il nome dell’aereo…

A parlare è il "turco" Jason Statham, costretto all’immobilità di una sedia, presumibilmente all’interno di un distretto di polizia. Come c’è finito? Chi è l’uomo seduto accanto a lui? La sua voce narrante coincide con i suoi pensieri, intenti a svelarci ogni cosa.

E i titoli? Essi intervengono dopo qualche minuto e su altre immagini, scorrendo all’interno di alcuni televisori che si trovano dentro al film.

Stiamo parlando di "The Snatch - Lo strappo" ("Snatch", 2000) di Guy Ritchie.

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