il nostro blog
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15-01-2021
Intervista di Cristina Borsatti.
Uno dei corsi di musica da film più riconosciuti in questo momento in Italia (il Corso Griffith di Musica da Film e Sonorizzazione Video) è nato all’interno dell’Accademia di cinema che dirige. Non è un caso, perché Vincenzo Ramaglia, oltre ad essere il Direttore dell’Accademia di Cinema e Televisione Griffith, è un compositore ed è un esperto del rapporto che intercorre tra suono e immagine.
Una materia che quasi non esisteva, relegata in qualche paragrafetto all’interno di volumi sul cinema, prima della pubblicazione del suo saggio “Il suono e l’immagine. Musica, voce, rumore e silenzio nei film”, edito da Dino Audino Editore. Un'indagine a 360°, preziosa per chiunque lavori nel cinema, dagli sceneggiatori ai registi, dai montatori ai tecnici del suono e, naturalmente, ai compositori di musica da film. Così importante nella realizzazione del racconto per immagini da essere materia all’interno dei corsi annuali dell’Accademia. Chi meglio di Vincenzo Ramaglia può dunque parlarci di colonne sonore e del perché siano così importanti.
Iniziamo dai termini, in questa sede vogliamo parlare di musica da film e la chiameremo, come fanno tutti, colonna sonora. Eppure, non di sola musica vive una colonna sonora… È così?
I termini hanno uno strano destino. Comunemente, si parla di colonna sonora intendendo la musica da film, ma si tratta di un equivoco. Tecnicamente, la colonna sonora è l’insieme di tutti i suoni presenti in un film, tutto ciò che è ascoltabile, dunque musica, rumori, silenzi, dialoghi, urla, sussurri. Il nome nasce da quella parte della pellicola che si chiamava colonna audio quando è nato il cinema sonoro. Ma, persino gli Oscar che premiano la Miglior composizione originale, cioè le musiche, nel linguaggio comune li chiamiamo Oscar alla miglior colonna sonora.
Perché in un film la musica è così importante?
Le ragioni sono tante. La musica ha il potere di influenzare il racconto, di darci informazioni che non sono presenti nelle immagini, di rivoluzionare il messaggio visivo, sovvertirlo. La musica non è soltanto in grado di rafforzare ciò che è già dentro l’immagine, può regalare strumenti di comprensione sia da un punto di vista estetico sia espressivo.
Spesso si sente parlare di musica d’accompagnamento. Ma questa è solo una delle sue funzioni. Giusto?
E neppure la più interessante. La musica di accompagnamento è ciò che io definisco parallelismo. Immagina di visualizzare il racconto visivo con una linea ondulata, la musica seguirebbe questa linea in modo parallelo, come spesso avviene negli inseguimenti all’americana: la musica marcia quando si corre, si ferma se c’è una sosta. Ma, si tratta di una strategia così inflazionata da essere spesso utilizzata con finalità parodistiche, come avviene nel film “Alta tensione” di Mel Brooks, che utilizza una carrellata di cliché musicali, o come accade in “Invito a cena con delitto” di Robert Moore, vera e propria enciclopedia del parallelismo.
Qual è allora secondo te l’utilizzo più efficace delle musiche in un film?
Per me, consiste nel conflitto più che nell’adesione tra i due livelli, sonoro e visivo, ovvero in ciò che chiamo contrappunto, per un motivo molto semplice. Il parallelismo produce in noi passività, nell’inseguimento non ci chiediamo perché le musiche siano così incalzanti, non ci mettono in crisi come spettatori. Al contrario, il contrappunto produce una sorta di cortocircuito tra ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, ci obbliga a chiederci il perché di quella scelta musicale. E, la risposta produce senso. Inoltre, mentre il parallelismo ha un'unica funzione, il contrappunto ne ha diverse.
Ci fai qualche esempio?
Ad esempio, la funzione referenziale, che permette allo spettatore di essere informato su qualcosa che ancora non vede. Accade ne "Lo squalo" di Steven Spielberg, dove il tema musicale anticipa la minaccia che incombe sui personaggi. Succede in “Shining” di Stanley Kubrick, mette in allerta lo spettatore prima che madre e figlio, che giocano allegramente su un prato, entrino nel labirinto.
Esiste poi la funzione interpretativa, simile alla precedente, ma capace di farci entrare nella mente di un personaggio o di un autore. Pensa alla scena dello stupro in "Arancia meccanica", sempre di Kubrick. Perché accompagnarla con la gioiosa musica de "La gazza ladra" di Rossini? Perché quello che noi vediamo è l’interpretazione di un tentativo di stupro attraverso la sensibilità di Alex. Alex ama la musica classica, ama Rossini e vede nella violenza qualcosa di ludico, allegro, spensierato, giocoso.
Accade anche in "Natural Born Killers" di Oliver Stone: Mickey sta lanciando un coltello verso un uomo che sta all’esterno di un bar, il coltello infrange il vetro per poi conficcarsi nella schiena dell’uomo. Su queste immagini, ascoltiamo l’aria di un’opera lirica, tratta dalla "Madama Butterfly" di Puccini, perché per Mickey questo gesto è poetico, liberatorio, arioso come quell’aria.
Quanto all’autore?
Citerò la scena della battaglia sul ghiaccio nell’"Aleksandr Nevskij" di Ėjzenštejn. La musica che l’accompagna è molto simile a quella de "Lo squalo", è incalzante e minacciosa, e ci dice molto sull’interpretazione del regista, che non ci sta semplicemente raccontando una battaglia, piuttosto la sua visione sul potere e sul destino dell’uomo. Per questa ragione, le assolute protagoniste della scena sono le nuvole e le distese di ghiaccio. I soldati sono semplici pedine, restano a margine dell’inquadratura. Ėjzenštejn vuole parlarci d’altro, di una minaccia impalpabile che li sovrasta. E, infatti, alla fine i soldati vengono inghiottiti dal ghiaccio, pedine di una scacchiera che neppure conoscono, parti ignare di un disegno che non possono comprendere.
L’attrito tra musica e immagini può produrre fastidio nello spettatore?
Assolutamente! Altra funzione del contrappunto è quella provocatoria. Esso produce nello spettatore una sorta di ribellione, non vorrebbe ascoltare quella musica su quelle immagini, prova un senso di rabbia. Un ottimo esempio si trova in "Bowling a Colombine" di Michael Moore. Su un’estrema carrellata di crimini di guerra perpetrati dagli Stati Uniti, ascoltiamo "What a Wonderful World" cantata da Louis Armstrong, un inno alla vita difficile da accettare su quelle immagini di violenza, in grado di renderle ancora più insostenibili.
Cosa pensi, invece, dell’utilizzo di un tema musicale per definire il carattere di un personaggio?
Penso che venga da lontano. Già nelle opere di Gluck, un compositore barocco, i temi musicali determinavano personaggi e situazioni. Poi è arrivato Wagner, che ha codificato il concetto di leitmotiv per descrivere personaggi e sentimenti. E, se inizialmente nel cinema muto l’accompagnamento musicale non c’entrava nulla con le immagini, ben presto anche nel cinema muto si cominciano ad usare repertori, non a caso perlopiù attinti da Wagner, capaci di creare un legame tra musica e immagini. Questa tendenza si è imposta con l’arrivo del sonoro, è una di quelle che ha avuto maggiore successo, e John Williams, il compositore delle colonne sonore de "Lo squalo", "Guerre stellari" e "Indiana Jones", uno dei più grandi in assoluto, ha dimostrato la sua efficacia.
Da sceneggiatrice ammetto che trovo tutto questo estremamente interessante. Spesso, già in fase di scrittura, ci si pone il problema delle musiche, e non solo. Ci si interroga spesso sull’uso dell’intera colonna sonora. Chiunque si occupi della realizzazione di un film dovrebbe avere un po’ di competenza in materia?
Ne sono convinto. Per questo la mia materia, "Linguaggio audiovisivo", è rivolta a tutti i corsisti annuali: sceneggiatori, registi, montatori, produttori e direttori della fotografia. Quest’anno, promuoviamo un’interazione ancora più intensa tra il corso di “Musica da film e sonorizzazione video” e i corsi di cinema. La colonna sonora è parte integrante del racconto per immagini.
Quanto conta l’interazione tra sceneggiatori, registi e compositori?
È sempre raccomandabile, ma la storia del cinema ci ha insegnato che non c’è una ricetta valida una volta per tutte, molti capolavori sono nati da strategie diverse. Ci sono state straordinarie collaborazioni, penso a quella tra Sergio Leone e Ennio Morricone, penso a "C’era una volta il West", qui entriamo nello stato di grazia. E, poi, c’è l’esempio di "2001: Odissea nello Spazio", dove Kubrick ha letteralmente liquidato il compositore e gli ha preferito musica preesistente. L’esito parla da solo.
Ma, se pensiamo ad un film come "Espiazione" di Joe Wright, il risultato ottenuto dal compositore Dario Marianelli non sarebbe stato possibile se non attraverso un gioco millimetrico stabilito già in fase di sceneggiatura.
Per concludere, in che rapporto stanno musica e narrazione?
Strettissimo, pensa che a volte la musica racconta una storia tutta sua. Accade nel film "Sostiene Pereira" di Roberto Faenza, interpretato da Marcello Mastroianni. Sentiamo un frammento musicale per tutto il film, ma non riusciamo a capire cosa voglia fare Ennio Morricone fino alla fine.
Il protagonista è un uomo apolitico, interessato unicamente alla letteratura, ma
gradualmente prende coscienza di doversi schierare e alla fine lo fa apertamente. Sul finale, lo vediamo camminare tra la gente, felicemente e clandestinamente, e i frammenti musicali cominciano a crescere, ad ampliarsi, si organizzano, diventano una canzone organica sui titoli di coda. È qui che si risolve un giallo musicale che per tutto il film ci ha raccontato, senza che ce ne accorgessimo, cosa si muoveva nell’animo del protagonista.
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