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11-12-2018
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Non si può certo dire che il cinema sia il regno delle donne. I numeri parlano chiaro.
A detta del “Center for the Study of Women in Television and Film” di San Diego, California, i dati non sono in crescita. Riguardano il 2017, anno in cui le donne registe hanno rappresentato solo l’8% del totale, le sceneggiatrici il 10%, le montatrici il 14%, le direttrici della fotografia e le compositrici di colonne sonore rispettivamente appena il 2 e 3%.
La gran parte dei principali mestieri cinematografici, eccezion fatta per quelli del reparto Produzione, sembra essere ancora prettamente appannaggio maschile. Eppure la storia del cinema lo ha dimostrato, quando il cinema è fatto dalle donne il quadro si completa e si arricchisce di altre ottiche, sfumature, significati.
Gli esempi di certo non mancano. Il Premio Oscar come Miglior Regista a Kathryn Bigelow (nel 2010 per “The Hurt Locker”) ad oggi è il primo ed unico assegnato ad una donna, ma la nostra Lina Wertmüller l’aveva già sfiorato quando nel 1977 fu la prima donna candidata all’Oscar nella stessa categoria, grazie al suo “Pasqualino Settebellezze”.
Donne da Oscar e da Palma d’Oro, come quella assegnata alla neozelandese Jane Campion durante il Festival di Cannes del 1993. Il film premiato è un capolavoro, quel “Lezioni di piano” che le permette di aggiudicarsi anche l’Oscar alla Miglior Sceneggiatura.
È un Leone d’Oro a premiare, invece, la carriera della regista e sceneggiatrice Sofia Coppola. Il prestigioso riconoscimento le arriva a Venezia nel 2010 assieme a un Oscar alla miglior Sceneggiatura, ma già qualche anno prima con il suo “Lost in Translation” sfiora quello alla Miglior Regia.
Ricordiamo anche un altro Leone d'Oro, quello che Margarethe von Trotta si aggiudicò alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1981, con "Anni di piombo", film che la proiettò tra i registi di culto.
Non c’è paese che tenga, le donne al cinema arrivano da ogni luogo, anche dove sembrerebbe ancora oggi impossibile. Lo ha dimostrato l’iraniana Samira Mahkhmalbaf, figlia dello scrittore e regista Mohsen Makhmalbaf, appartenente al movimento del cinema New Wave persiano. Numerose nomination a prestigiosi premi, il Premio della Giuria al Festival di Cannes per ben due volte con “Alle cinque della sera” e “Lavagne”, il riconoscimento nel 2003 del quotidiano britannico The Guardian, che la nomina tra i migliori quaranta registi attualmente in attività.
Iraniana anche Marjane Satrapi, proveniente da Teheran, fumettista e regista, a cui si devono il film d’animazione “Persepolis” e il live-action “Pollo alle Prugne”, romanzi a fumetti autobiografici diventati film dal successo internazionale.
È indiana Mira Nair, alcuni Oscar sfiorati e un Leone d’Oro grazie al suo splendido “Monsoon Wedding”.
È cinese di Hong Kong Ann Hui, protagonista della scena New Wave cinese.
Quanto al nostro Paese, le più conosciute nel mondo restano probabilmente le grandi Lina Wertmüller e Liliana Cavani (David Speciale alla Carriera nel 2012). Di quest'ultima, come dimenticare il duo Charlotte Rampling e Dirk Bogarde nel "Portiere di notte" (1974)?
Ma è in questo nostro secolo che in Italia le donne si affacciano con più forza nella Settima Arte. Cristina e Francesca Comencini, Francesca Archibugi, Roberta Torre, Alina Marazzi, Susanna Nicchiarelli, Maria Sole Tognazzi, Alice Rohrwacher. Solo per citarne alcune.
Nel corso del tempo, si annoverano diversi riconoscimenti anche all'attivo di montatrici italiane.
Esmeralda Calabria ha vinto due David di Donatello per il miglior montatore: nel 1999 per "Fuori dal mondo" e nel 2006 per "Romanzo criminale". Simona Paggi nel 1992 ha vinto il David di Donatello come miglior montatore per il film "Il ladro di bambini" di Gianni Amelio e ha ottenuto una nomination agli Oscar come miglior montaggio per "La vita è bella" di Roberto Benigni. Gabriella Cristiani è la prima montatrice italiana ad essere nominata per il Premio Oscar e ad averlo vinto (l’11 aprile del 1988), per il montaggio del film "L'ultimo imperatore" di Bernardo Bertolucci.
Mentre l'unico credito che ci viene in mente in merito a direttrici nostrane della fotografia è la recentissima candidatura (2018) ai Nastri d'argento di Francesca Amitrano per il film dei Manetti Bros "Ammore e malavita".
Parlando di sceneggiatura, viene subito alla mente Suso Cecchi d’Amico, unicum femminile tra le penne dell’epoca. Tanti David di Donatello, tanti Nastri d’Argento e un Premio alla Carriera, consegnatole a Venezia nel 1994. E, se ancora oggi vengono chiamate perché serve “un punto di vista femminile”, se ancora oggi spesso sono “ghost writer”, le donne scrivono per il cinema e la televisione, eccome, da sempre, con risultati talvolta sorprendenti in Italia e nel mondo.
Basterebbe citare la statunitense Callie Khouri, che l’Oscar alla Miglior Sceneggiatura l’ha vinto per “Thelma & Louise” di Ridley Scott e che, con la propria sensibilità, ha dato vita a “Qualcosa di cui… sparlare” di Lasse Hallstrom e alla serie tv “Nashville”.
E che dire di Sally Wainwright, sceneggiatrice di superbe serie televisive britanniche, come "Scott & Bailey", "Last Tango in Halifax" e "Happy Valley"?
Quanto a quel sofisticato connubio tra musica e cinema che sono le colonne sonore, il discorso non cambia. Al contrario, la maglia si fa ancora più stretta. Ma non dimentichiamo le prime donne che si sono aggiudicate l’Oscar alla Miglior Colonna Sonora: Rachel Portman e Anne Dudley. Britanniche entrambe, perché è nel mondo anglosassone che i numeri si fanno più interessanti. È inglese anche la giovanissima Micachu, nominata agli Oscar per la colonna sonora del “Jackie”, interpretato da Nathalie Portman. E sono statunitensi Shirley Walker, vera e propria pioniera del settore, celebre per le colonne sonore di “Batman” e “Final Destination”, Nancy Wilson (autrice della colonna sonora di “Vanilla Sky”) e Deborah Lurie (“Footloose”, “Nine”, "Spiderman 3").
Inoltre: ricordate la musica inquietante e geniale della scena del ballo in maschera di "Eyes Wide Shut" di Stanley Kubrick? Beh, è di una donna: la compositrice britannica Jocelyn Pook.
Nel nostro Paese per ora sono pochissime. Vale la pena citare Nora Orlandi, la prima tra le compositrici del cinema nazionale, che ha lavorato prevalentemente nel thriller e nel western tra gli anni Cinquanta e Sessanta, un’epoca non facile per una donna. Un esempio anche oggi.
Sono ancora poche e tutte bravissime le donne del cinema. Alcune registe, tante scrittrici invisibili, produttrici eterno braccio destro. Il cinema è stato e resta profondamente maschile.
Alle più giovani il compito di invertire la tendenza con quella passione, quella dedizione propria di chi è costretto a faticare di più ma che non si arrende. Con la voglia di raccontare cose diverse, da un’altra angolazione, attraverso un'altra sensibilità, per permettere al cinema di mettere in scena tutta la complessità del reale.
Perché la genialità femminile, nel cinema come nelle altre arti, sboccia continuamente: è diversa da quella maschile e, a maggior ragione, indispensabile. Ne abbiamo bisogno tutti. Anche l'accademia Griffith.
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