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Il found footage. Esempi celebri: da Cannibal Holocaust a Cloverfield

05-11-2024

Un filone horror a basso costo e dai grandi risultati.

Siamo nei pressi del genere horror e di un filone di grande successo a partire dagli fine degli anni Novanta.

Le telecamere sono le protagoniste, al pari di una presa diretta ansiogena e soggettiva. La sensazione è quella di ritrovarsi di fronte ad una storia vera, spesso grazie al ritrovamento di registrazioni che danno al Found Footage il sapore di un falso documentario.

Difficile comprendere il fenomeno senza analizzare il contesto culturale in cui prende vita. All’alba del nuovo millennio, il web ha già alterato definitivamente ogni forma di comunicazione, dai sotterranei emergono immagini e soprattutto video di ogni genere e tipo e il Found Footage è il genere che per eccellenza è espressione dello shock visivo che il grande pubblico sta sperimentando.

The Blair Witch Project fa da spartiacque grazie al suo incredibile successo, ma non è l’inizio di tutto. Il grande schermo ha già diffuso esperienze simili, continuerà a farlo, talvolta in maniera estrema, nel nuovo millennio.

Qualche celebre esempio ci aiuta a comprendere la portata di questo filone horror a basso costo e dai grandi risultati. Cominciamo dal 1980.

CANNIBAL HOLOCAUST (Regia: Ruggero Deodato, 1980)

Flop all’epoca a causa della sua eccessiva violenza, questo film di Ruggero Deodato è un precedente di tutto rispetto.

Cannibal Holocaust, all’epoca al centro di vicende giudiziarie e in seguito ampiamento rivalutato da parte della critica, si divide in due parti. La prima si concentra sulla spedizione di un antropologo in Amazzonia sulle tracce di quattro reporter scomparsi. La visione del materiale ritrovato, opera del gruppo di documentaristi, costituisce la seconda e rappresenta un modello per le generazioni successive di registi alle prese con il Found Footage.

Non solo l’apice di un sottogenere horror come il Cannibal Movie, anche una profonda riflessione sui mass media. È stato lo stesso Deodato a raccontare come l’idea del film gli fosse venuta in seguito alle lamentele del figlio per la crudezza delle immagini dei telegiornali. Già a partire dagli anni Settanta, un certo sensazionalismo, spesso cruento e in grado di intensificarsi nei decenni successivi, è al centro dell’interesse mediatico.

Oltre il film, dove sesso e atrocità d’ogni genere non hanno confini, una cornice di ipertestualità anticipa fenomeni a venire. Curiosità, leggende, falsità si addensano attorno al film per anni, anche se la viralità di internet è ancora di là da venire.

THE BLAIR WITCH PROJECT (Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, 1999)

L’inquadratura non è certo da manuale, riprende il volto traballante e tagliato di una ragazza, occhi gonfi, cappello di lana. Intorno a lei il buio.

Heather Donahue è una studentessa che, insieme agli amici Joshua Leonard e Michael Williams, il 21 ottobre del 1994 ha deciso di avventurarsi nei boschi di Black Hill Forest, nel Maryland, per girare un documentario dedicato ad una leggenda locale.

Impossibile parlare di Found Footage senza riferirsi a The Blair Witch Project, 60 mila dollari di budget e un successo che valse circa 250 milioni.

Riprese amatoriali, attori esordienti e una campagna di marketing senza precedenti, perché capace in tempi non sospetti di sfruttare tutta la viralità della rete.

Il sito creato ad hoc prima dell’uscita del film diffonde online una storia che sembra vera e che presto si trasforma in leggenda. Racconta la misteriosa scomparsa di alcuni ragazzi e il ritrovamento di un filmato in presa diretta della loro disavventura.

Il resto è storia, un successo clamoroso che in molti hanno tentato in seguito di bissare.

REC – LA PAURA IN DIRETTA (Jaume Balagueró e Paco Plaza, 2007)

La giovane reporter Angela e il suo cameraman seguono per una notte una squadra di pompieri di Barcellona per descriverne il lavoro e inserirlo in un programma tv dal titolo “Mentre voi dormite”. Durante le riprese scoppierà l’inferno e non ci saranno vie di fuga…

Pellicola cult in grado di diventare una saga, con la macchina da presa in campo che diventa l’occhio dei due registi. Film nel film, angosciante e vouyeristico, un incubo ad occhi aperti che anche lo spettatore finisce per vivere in diretta, intrappolato com’è nella palazzina insieme ai personaggi.

Ancora una volta, la registrazione è unica testimone dei fatti, inopportuna dinanzi alla tragedia umana.

Nel 2007, il filone è già inflazionato, ma il risultato è un successo, forse per la sua semplicità e per quel concentrato di terrore che ha fatto saltare sulla sedia anche i meno appassionati.

Angoscia, terrore, claustrofobia. E ancora una volta temi grazie ad una pellicola anticlericale e antinazista.

PARANORMAL ACTIVITY (Oren Peli, 2007)

Stesso anno, stesso risultato.

Siamo a San Diego in una di quelle casette tutte uguali che tanto piacciono agli americani.

Qui convivono due giovani fidanzati, al cospetto di impreviste e strane presenze. Per questo decidono di comprare una videocamera per riprendere ciò che accade durante la notte e il gioco è fatto.

Falso documentario decisamente inquietante, collage di filmati amatoriali che non ha bisogno di effetti speciali per tenere svegli la notte.

Attori sconosciuti, anonimi interni, non c’è nulla di oscuro, nulla di gotico, ma è proprio la quotidianità della vicenda a renderla così angosciante.

Ancora una volta, il Found Footage si rivela l’espediente perfetto per mettere in scena un film no budget. Girato nella villetta dove viveva lo stesso regista esordiente, costato appena 15.000 dollari, Paranormal Activity in poche settimane negli Stati Uniti ha incassato oltre cento milioni di dollari, trasformandosi in un caso cinematografico.

CLOVERFIELD (Matt Reeves, 2008)

Un altro azzardo riuscito, anche merito di una campagna di marketing che è andata ben oltre i confini della pellicola, grazie ad esempio a siti internet dedicati agli eventi raccontati nel film e presentatati come realmente accaduti.

Cloverfield si presenta come un resoconto, a partire dalla didascalia iniziale annuncia che ciò che stiamo per vedere proviene da una videocamera ritrovata tra le macerie di Manhattan.

Punto di vista del film, il video veicola efficacemente la paura dei protagonisti, vittime di un attacco terroristico senza precedenti. Noi siamo con loro, siamo loro, ma siamo anche la videocamera e la mancanza di un filtro si rivela ancora una volta la carta vincente.

A seminare il panico è una gigantesca creatura aliena, inquadrata da un punto di vista limitato e compromesso, al pari di New York, città distrutta e avvolta da fiamme in cui siamo immersi. Un impianto realistico visivamente eccezionale che regala 85 minuti pieni di colpi di scena.

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