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Intervista a Marzia Coltellaccitutti gli articoli

Marzia Coltellacci

19-10-2016

Marzia Coltellacci, scrittrice, sceneggiatrice ed ex allieva del Corso di Sceneggiatura di Accademia Griffith, intervistata dalla Griffith.

Scrittrice e sceneggiatrice, Marzia Coltellacci ha lavorato all’interno delle più grandi produzioni americane che sono sbarcate in Italia negli ultimi anni, maturando un’enorme esperienza nell’ambito della produzione cinematografica e televisiva. Ha lavorato al fianco di registi del calibro di Ridley Scott, Ron Howard, Giuseppe Tornatore, Sam Mendes, Paul Haggis, Guy Ritche. Al fianco di attori come Tom Hanks, Liam Neeson, Gael Garcia Bernal, Hugh Grant, Ewan McGregor, Robin Wright, Kim Basinger, Adrian Brody, Robert Daniel Jr., Daniel Craig. Nel cuore, c’è ancora la scrittura, come ai tempi dell’Accademia, una passione che è ancora “l’Esperienza più entusiasmante”.

 

Proprio in questo momento, sei in Sicilia, sul set di “Mary Magdalene”, biopic hollywoodiano diretto da Garth Davis. Qual è il tuo ruolo all’interno della produzione? E in che cosa consiste in pratica il tuo lavoro?

Il mio ruolo su questo film, come ormai da qualche anno, è quello di Location Coordinator. Iniziamo a spiegare in generale cosa fa un Coordinator: organizza e coordina, insieme al capo reparto, il diverso lavoro dei componenti della squadra, fa da collante tra il proprio reparto e tutti gli altri reparti che, seppure apparentemente sembrino muoversi in modo autonomo, sono assolutamente dipendenti gli uni dagli altri. Altro aspetto molto importante è tenere “in ordine” la burocrazia del film, relativamente al proprio reparto, interfacciandosi di continuo con l’amministrazione. Eh già, perché un film non è solo attori e macchina da presa, per avere tutto quello che romanticamente chiamiamo set, è indispensabile fare un lavoro attento, fatto di centinaia di file, email, contratti, pagamenti, scadenze e tutto deve avere un percorso preciso e ordinato. La produzione di un film non finisce con l’ultimo ciak, ma con l’ultimo pezzo di carta che “torna indietro e fa quadrare i conti”. Se tutto torna, allora vuol dire che è stato fatto un ottimo lavoro, dall’inizio alla fine. Nelle produzioni internazionali, la figura del Coordinator è presente in quasi tutti i reparti (Produzione, Scenografia, Arredamento, Trasporti, Location). Nei film Italiani, invece, non sempre è così. E’ questione di numeri. Questione di budget. Nel mio caso, il reparto che coordino è quello delle location, uno dei più dinamici e stimolanti, reparto che si occupa di trovare, e proporre al regista e allo scenografo, le location in cui ambientare le varie scene. Una volta finito lo scouting e decise le diverse location si inizia a preparare. La preparazione è quella fase in cui si formalizzano e si chiudono gli accordi, si lavora per l’ottenimento dei permessi e si soddisfano richieste e necessità dei reparti coinvolti sul set. Il reparto location non solo trova e chiude accordi con la location, ma “compra” tutto quello che serve per avere il pieno controllo della scena (basti immaginare un film come James Bond, girato a Roma… per poter permettere a Daniel Craig di sfrecciare con la sua Aston Martin per le strade della capitale, il reparto location ha “comprato” negozi, chiuso strade e interi isolati, ricompensando ogni singolo cittadino delle zone interessate per il disturbo e il disagio arrecato nelle ore notturne, ha risistemato l’asfalto, bonificato aree abbandonate, richiesto permessi al Comune, collaborato con decine di pattuglie di polizia municipale per regolare e deviare il traffico. Sette mesi di lavoro per assicurare al regista il controllo della scena).

 

Il tuo curriculum è pazzesco. Hai iniziato con la superproduzione della serie “Rome”, prodotta e distribuita dalla HBO, e tra i titoli su cui hai lavorato ci sono “The Avengers: Age of Ultron” di JossWhedon, “Spectre – James Bond 007” di Sam Mendes, “The Vatican” di Ridley Scott e “Inferno” di Ron Howard. Solo per citarne alcuni. Come sei partita? Come hai fatto ad entrare in questo mondo? 

 

Non sono figlia di cinematografari e non ho iniziato questa carriera per caso, perché un conoscente o un amico di un amico mi ha inserito in qualche produzione. Ho fatto un percorso canonico, che forse per molti sembra utopia, eppure ho iniziato “semplicemente” facendo un percorso di studi, prima con l’Università, frequentando Scienze della Comunicazione, e poi con L’Accademia di Cinema e Televisione Griffith. Non sapevo dove e se sarei arrivata da qualche parte, però ci ho creduto, ho seguito il mio istinto, ho assecondato le mie attitudini senza arrendermi, anche se il mondo del cinema sembrava inarrivabile. Sono due i fattori che hanno determinato questi miei primi dieci anni di cinema, e sono due le “persone” a cui voglio dire grazie. Il primo grazie è per l’Accademia Griffith che ha saputo darmi gli strumenti per comprendere la complessità del cinema, insegnandomi a tenere sempre i piedi per terra ma incoraggiandomi allo stesso tempo a sognare, dandomi la possibilità di entrare in questo meraviglioso mondo dalla porta principale, varcando la soglia di Cinecittà con uno stage come assistente di produzione nella serie tv “Rome”, da cui tutto ha avuto inizio. Il secondo grazie lo devo dire a me stessa e alla mia personale passione, non ancora esaurita, che mi fa amare con entusiasmo il mio lavoro, ogni giorno come se fosse il primo.

 

Con passione, ti sei anche occupata di programmi televisivi e di pubblicità. Quali sono le principali differenze tra le produzioni cinematografiche e quelle televisive. Hai preferenze? 

 

Nel mio percorso professionale ho avuto la fortuna di sperimentare davvero tutto: passando da serie tv italiane a grandi produzioni hollywoodiane, dal reality show al documentario fino alla pubblicità. Devo ammettere che non c’è una sola di queste esperienze che rinnego. Tutte mi hanno insegnato qualcosa, arricchendo il mio curriculum e affinando il mio modus operandi. Tra un film e una serie Tv non ci sono molte differenze, i principi sono gli stessi, lo sviluppo del lavoro è identico: scuot, preparazione, shooting, post produzione. Anche le figure professionali sono le stesse. La differenza sta nel budget: meno soldi, quindi troupe numericamente più piccole, tempi di preparazione e settimane di riprese ridotte all’osso, location con meno pretese, più carrelli e meno dolly. Ovvio che se, invece, parliamo di serie tv americane, bhe, le serie tv sono una vera industria, sono cinema puro. La pubblicità, poi, è un mix, è un concentrato di tutto questo: si investe molto in un tempo piccolo. Gli spot sono mini film, a volte piccole opere d’arte. Vengono realizzati con tutti i criteri di una produzione cinematografica e spesso sono diretti da grandi Maestri del cinema, con cast di tutto rispetto.

 

Quanto invece al documentario, ne hai realizzati diversi con Clipper Media e Rai Cinema…. 

 

Il documentario è un‘esperienza intensa che consiglio ed auguro a tutti di fare prima o poi. Esperienza che devo a Sandro Bartolozzi, docente di Fotografia dell’Accademia Griffith, oggi un caro amico. E’ un prodotto completamente diverso dal film o dalla serie tv, anche se, produttivamente, segue gli stessi principi, ma lo fa con piccoli budget, troupe ridotte e tempi di preparazione e riprese davvero brevi. Nel documentario esiste il trattamento, una “sceneggiatura” che fa da guida, solo che non si studia una parte, non si prepara la scena, si segue un filo rosso e ci si adatta alla realtà in cui ci si imbatte. Perché il documentario racconta la realtà, non la ricrea, non c’è (o non dovrebbe esserci) la finzione, caratteristica principe del cinema. Tuffarsi nel racconto e lasciarsi trasportare dagli eventi, questo è il valore aggiunto del documentario. L’effetto sorpresa è sempre in agguato, bisogna saper aggiustare il tiro per restare nei binari di ciò che si era scelto di raccontare, e ogni tanto si ha il coraggio di cambiare direzione e si scopre che ci sono cose che si imparano solo con il confronto. Collaboro spesso con Clipper Media (la casa di produzione di Sandro Bartolozzi) e Rai Cinema, come Direttore di Produzione, per documentari che mi portano in giro per il mondo (Israele, Giordania, Scozia, Turchia, Russia, America), e che mi fanno incontrare e scontrare con personaggi pazzeschi che neanche la migliore mente di uno sceneggiatore potrebbe inventare, e questo è un altro aspetto che non ha prezzo. Per una persona curiosa, il documentario è Lo Stimolo.

 

Hai appena parlato di un’altra figura professionale importantissima, il Direttore di Produzione. Nel corso degli anni sei stata anche Assistente di produzione e Segretaria di produzione. Facciamo chiarezza? 

 

Hai presente i titoli di coda? A volte sono lunghissimi, gli spettatori si alzano e se ne vanno, mentre sul grande schermo scorrono i nomi di tutte le persone che hanno contribuito a realizzare quelle due orette” di svago. Incredibile che siete così tanti a lavorare su un film! Me lo dicono spesso ed io sorrido ogni volta. Sì, siamo tanti. Da un minimo di 80 ad un massimo di 400 persone, per due orette di film, ovvero almeno cinque mesi di lavoro. In alcuni casi anche due anni. Se potessi, incollerei qui una crew list perché sarebbe più semplice spiegare e far capire perché siamo così tanti. Esistono diversi reparti e ognuno è una squadra formata da figure ben precise e definite. Io ho iniziato come assistente di produzione/runner (sei il jolly della produzione, fai quello che chiedono: stampi le fotocopie, accompagni l’attore a casa a fine riprese, porti il caffè al regista, distribuisci l’ordine del giorno alla troupe, vai in giro a comprare quello che serve). In genere ogni reparto ha almeno un assistente/runner dedicato. Un po’ tutti iniziano da qui, ed è giusto che sia così. Come per ogni cosa, anche nel cinema, ci sono dei tempi di maturazione, per capire le dinamiche e poter crescere bisogna saper osservare e ascoltare. Ci vuole umiltà. Sempre. Dal primo giorno, tutti i giorni. Anche se si diventa registi o direttori di produzione. La cosa che amo di questo lavoro, è che tutti sono importanti, non c’è una figura o un reparto che valga meno di un altro, è una macchina talmente perfetta che se si ferma anche la più piccola delle rotelline si rischia di bloccare l’intero ingranaggio. Il runner è importante quanto l’aiuto regista. Poi magari, la prossima volta,vi spiegherò perché. Ed è vero che non tutti i runner diventeranno direttori di produzione o coordinatori o registi o scenografi. Bisogna dimostrare di essere affidabili, di sapersi assumere le proprie responsabilità, di avere un forte spirito di adattamento (orari di lavoro molto lunghi in condizioni non sempre agevoli, soprattutto quando si gira in esterno, magari in inverno, sotto la pioggia). E poi, lo ripeto, ci vuole sempre una buona dose di umiltà. Ma una cosa è certa, e lo dico perché questa è stata la mia esperienza: se lavori con passione e dedizione, lo spazio per fare del cinema il proprio mestiere esiste.

 

Una formazione accademica, prima di affrontare un set, e la professione, quanto pensi sia importante? 

Per me, che non avevo alcun contatto con il mondo del cinema, la formazione accademica è stata fondamentale. Non solo perché ho acquisito le fondamenta teoriche del cinema, della sua storia e degli sviluppi, ma perché ho avuto la possibilità di sperimentare a piccoli passi, attraverso laboratori, cortometraggi e stage, lo sviluppo creativo di un film. Quando poi mi sono ritrovata sul set, ero si sbalordita per la grandezza del set e affascinata dalle sue dinamiche, ma non ero impreparata, conoscevo le regole e metterle in pratica è stato naturale. In generale, credo che una base formativa con docenti professionisti del settore, come nel caso dell’Accademia Griffith, sia importante per chiunque voglia davvero crescere ed entrare nel mondo del lavoro. Moltissimi miei colleghi hanno avuto un percorso simile al mio e oggi sono affermati direttori di produzione, aiuto registi, coordinatori. Non è una regola, ma per molti è stato così.

 

Veniamo alla scrittura, la tua prima passione. All’Accademia Griffith hai frequentato il corso di sceneggiatura. Hai firmato un lungometraggio (“Se è vero che ci sei” di Andrea Maia) e pubblicato un romanzo dal titolo “Mai viaggiare dopo il tramonto” (il secondo è nell’aria). Nonostante tu sia una professionista affermata, quanto conta ancora per te la scrittura e quanto pensi peserà sul tuo futuro professionale? 

La scrittura è ancora al primo posto. Continua a rappresentare l’Esperienza più entusiasmante. Ho appena finito di scrivere un romanzo, mi sono presa quattro mesi, rifiutando lavori e dedicandomi ai miei personaggi, alle loro storie e a quello che mi stavano raccontando e sono stati quattro mesi intensi e travolgenti. Quando ho messo il punto, come ogni volta che si mette l’ultimo punto, ho provato una strana sensazione, quasi di svuotamento. Staccarmi dai miei personaggi è sempre molto difficile, però credo sia un processo naturale e ovvio. Ammetto che quando sono impegnata sui set il tempo si azzera e non è semplice ritagliarsi dei momenti per scrivere, soprattutto perché lavorare su un film ti assorbe completamente, è un po’ come un’amante che pretende tutte le attenzioni e ti concentri solo su di lui perché questo è quello che pretende da te. Non ci sono ferie, orari, permessi, spesso anche avere la febbre è un lusso che non ci si può permettere. Per lunghi mesi sei dentro una centrifuga, ma non appena tutto finisce, non appena l’ultimo ciak viene battuto, l’ultimo pezzo di carta “ritorna” in amministrazione e l’ultima persona esce dagli uffici di produzione richiudendosi la porta alle spalle, allora si ritorna alla realtà, e la mia realtà è fatta anche di scrittura. Quando dieci anni fa ho iniziato con lo stage a Cinecittà, avevo la possibilità di scegliere tra due diversi reparti: produzione e regia. A causa della mia poca esperienza, avrei scelto regia, e invece, una persona mi disse: “se vuoi scrivere, allora fai lo stage in produzione. Solo così capirai davvero cosa vuol dire fare un film e quando scriverai avrai più coscienza”. Aveva ragione. Oggi continuo a scrivere con lo stesso amore di sempre, mixando la creatività, che comunque non reprimo, con un senso pratico indispensabile per presentare una sceneggiatura ad un produttore. Non so se mai diventerò sceneggiatrice di professione, però non ho rimpianti, sono orgogliosa di quello che ho saputo raggiungere, soddisfatta dei risultati, sono onesta nel riconoscere che faccio un lavoro bellissimo, con grandi maestri, ricco di stimoli e di esperienze e, da brava scrittrice curiosa, non perdo occasione per osservare e mettere in archivio le persone che incontro, le cose che mi accadono, e non smetto di scrivere. Soprattutto non smetto di pensare che un giorno, non mi interessa di sapere quando, farò solo la scrittrice. La vita è meravigliosamente imprevedibile, dieci anni fa non avrei immaginato che un giorno avrei lavorato con Sophia Loren o Ridley Scott e invece è successo. Tutto è possibile. Quindi sì, un giorno potrei fare solo la scrittrice.

 

BIO/FILMOGRAFIA 

 

“Ho iniziato a lavorare nell’Agosto del 2006. Lo ammetto, con grande orgoglio, sono stati dieci anni intensi e ricchi di soddisfazioni inaspettate. Il mio primo set è stato quello di “Rome”, un kolossal, considerato il numero di persone impiegate per la sua realizzazione. Da Hollywood poi sono stata catapultata nel cinema italiano, di Cristina Comencini e Vincenzo Marra, alternando i film alle serie tv (“R.I.S. - Delitti imperfetti”) o ai reality show (“America’snext top Model”, “Amazing Race”, “La Talpa”), fino a quando, nella mia vita non sono arrivati i documentari con Clipper Media e Rai Cinema. Con il ritorno del grande cinema internazionale in Italia, senza neanche rendermene conto sono stata risucchiata nel circuito delle produzioni americane, delle grandi Major (Sony, Warner Bros, Walt Disney), ritrovandomi a collaborare per i grandi Maestri che hanno fatto la storia del cinema. come Ridley Scott, Ron Howard, Paul Haggis. Coordinando e cercando location per film drammatici come “Third Person” o commedie romantiche come “Letters to Juliet” di Gary Winick, o per film d’azione come “Operazione UNCLE” di Guy Ritchie o “Spectre- 007”, fino ai film di supereroi come “Avengers” o “Wonder Woman”. Ho avuto la fortuna di vedere in azione davvero dei grandissimi professionisti e non nascondo che in alcuni casi è stato molto emozionante, come lavorare con Sophia Loren sullo spot di Dolce & Gabbana diretto da Giuseppe Tornatore. Ecco, di tutti gli attori che ho avuto modo di conoscere, oserei dire che Sophia Loren è in assoluto l’ultima delle vere Dive, il più bel regalo di questo mio viaggio nel cinema.

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